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Un paio di costellazioni visibili in Luglio
nord : Lira - latino Lyra abbreviazione Lyr
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Nelle notti di fine di febbraio fa la sua prima comparsa a est Vega, la stella più luminosa della Lira (Fig. 1); giorno dopo giorno la seguiranno le altre stelle di questa piccola costellazione che risuona delle note di uno dei più antichi strumenti musicali. Offrirà poi la miglior visione di sé nel periodo che va da giugno a metà settembre, mentre nel mese di luglio si troverà al culmine del suo cammino mostrandosi a nord. La Lira si estende per 286 gradi quadrati e non occupa dunque una grande porzione di cielo; fra le 88 costellazioni dei due emisferi, infatti, si trova al 52° posto.
Grazie al bagliore di Vega, la sua stella principale, e alla sua semplice forma di parallelogramma, non è difficile identificare la Lira in mezzo alle altre figure celesti. Fondamentalmente si possono seguire due percorsi per trovare Vega, e da lì risalire all’intera costellazione: partendo dal Grande Carro si segua la direzione indicata dalle sue stelle Gamma e Delta piegando leggermente verso sud-est fino ad incontrare la prima stella più luminosa (Fig. 2), quella è Vega.
Alternativamente si può partire da Arturo nel Bootes, seguendo la direzione che forma con la stella Delta della medesima costellazione e piegare sempre leggermente verso sud-est. Di nuovo la prima stella brillante che si incontra è Vega (Fig. 2). Da lì è immediato riconoscere le altre stelle che formano la sagoma della Lira. |
Le costellazioni che attorniano la Lira sono cinque e precisamente: il Drago a nord, il Cigno a est, Ercole invece la abbraccia da ovest a sud e infine la Volpetta la chiude a sud-est (Fig. 3).
La Lira inoltre è una delle tre costellazioni le cui stelle principali formano il cosiddetto Triangolo Estivo. Osservando il cielo da nord a sud-est infatti, saltano all’occhio tre stelle decisamente luminose e abbastanza vicine fra loro, utili riferimenti per meglio orientarsi fra i tanti puntini di luce. Si tratta appunto di Vega nella Lira, di Deneb nel vicino Cigno e di Altair nella costellazione dell’Aquila (Fig. 4).
Le stelle che formano il disegno della Lira sono 6, la più luminosa delle quali è Vega con magnitudine apparente di 0,03. Seguono due stelle di terza magnitudine, Gamma e Beta Lyrae, per arrivare fino alla quinta, Zeta 2 Lyrae, con le sue 5,73 magnitudini apparenti.
La differenza di magnitudine fra Vega e quest’ultima corrisponde ad una differenza di luminosità pari a quasi 200. Zeta 2 Lyrae cioè è quasi 200 volte più fioca di Vega. Considerando tutte le 6 stelle del parallelogramma, risulta che la Lira è una costellazione piuttosto debole, essendo la media delle magnitudini pari a 4,10. Più che altro il fatto è che la luminosità è tutta concentrata su una sola stella, Vega.
Uno dei tesori custoditi nella Lira è un famoso oggetto del catalogo di Messier, M57 (Fig. 5) conosciuto anche come la Nebulosa Anello o Ring Nebula.
Sempre del catalogo di Messier è infine anche un suggestivo ammasso globulare, M56 (Fig. 6), distante dalla Terra quasi 33.000 anni luce e del diametro di 84 anni luce. |
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zodiaco : Sagittario - latino Sagittarius abbreviazione Sgr
Con la costellazione del Sagittario i nostri occhi sono puntati dritti verso il centro della nostra Galassia, la Via Lattea! Il Sagittario (Fig. 7 ) è una costellazione zodiacale bassa sull’orizzonte e quindi non in posizione ottimale per l’osservazione; tuttavia è sorprendentemente ricca di oggetti: dagli ammassi aperti alle nebulose fino ad arrivare all’enorme buco nero che sta nel centro galattico.
Ci sono ben 15 oggetti del Catalogo Messier: tre celebri nebulose (M8 o Nebulosa Laguna, M17 o Nebulosa Omega e M20 o Nebulosa Trifida); cinque ammassi aperti (M18, M21, M23, M24, M25) e per finire sette ammassi globulari (M22, M28, M54, M55, M69, M70, M75).
Ma l’oggetto sicuramente più eccezionale nella costellazione è Sagittarius A, una potentissima radiosorgente al centro della Galassia, indice della presenza di un gigantesco buco nero che sarebbe il motore principale della Via Lattea.
Il Sagittario si estende per 867 gradi quadrati, classificandosi al 15° posto per dimensione fra le 88 costellazioni della volta celeste. E’ dunque una costellazione vasta.
Essa confina a nord-est con l’Aquila, a nord-ovest con lo Scudo, a ovest con l’Ofiuco e la Coda del Serpente, a sud-ovest con lo Scorpione, a sud-est col Capricorno e col Microscopio (costellazione già del cielo australe) e a sud con la Corona Australe. |
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Come si può vedere (Fig. 8 ), le sue stelle sono praticamente tutte immerse nella Via Lattea, cioè risiedono – prospetticamente – in quella zona di cielo in cui passa uno dei bracci a spirale della nostra Galassia.
La Fig. 9 mostra la nostra posizione nella galassia e, come si vede, il Sole si trova in una regione periferica di uno dei bracci della spirale. Quella spruzzata di bianco che vediamo attraversare il cielo notturno e che è stata battezzata Via Lattea, è proprio il braccio a spirale della Galassia, la quale ne ha a sua volta preso il nome.
Possiamo contare 15 stelle principali che ne tracciano la sagoma, la più brillante delle quali è la Epsilon con una magnitudine apparente di 1,85, mentre la più debole è la Beta 2 con 4,29, una stella quasi dieci volte meno luminosa della Epsilon.
Mediamente la costellazione è di magnitudine 3, non eccessivamente brillante ma nemmeno debole.
La costellazione del Sagittario viene spesso chiamata Teiera. Come si può osservare in Fig. 10 , infatti, la sua forma ricorda anche questo oggetto. E, caso ha voluto, che dal suo beccuccio la Via Lattea fuoriuscisse come un filo di fumo bollente! |
fig.9 |
fig.10 |
Stelle famose nelle costellazioni di Luglio
Nella Lira: Vega
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Percorrendo da un capo all’altro il cielo notturno estivo, balzano all’occhio una manciata di grosse stelle che per la nitidezza con cui si impongono, paiono contendersi il titolo di regine dell’estate. Sono Arturo nel Bootes, Spica nella Vergine, Altair nell’Aquila, Deneb nel Cigno e Vega nella Lira (Fig. 11 ). In realtà la vera gara si gioca fra la fiammante Arturo e l’azzurra Vega, le più luminose delle cinque aspiranti e, davvero per un’inezia, vince Arturo, la terza stella più luminosa della volta celeste dopo Sirio nel Cane Maggiore e Canopo nella costellazione australe della Carena. Vega si piazza invece al quarto posto ma, escludendo Canopo che appartiene al cielo del sud, diviene la terza stella più brillante del nostro emisfero.
Insieme alle vicine Deneb e Altair, forma il cosiddetto Triangolo Estivo (Fig.4).
Tecnicamente si tratta di un “asterismo”, ossia di una figura celeste formata da stelle appartenenti a costellazioni diverse.
Distante circa 25 anni luce da noi, Vega è stata e tornerà ad essere una stella polare. Bisogna sapere infatti che l’asse di rotazione della Terra non mantiene costante la sua direzione mentre il pianeta ruota su se stesso, ma si comporta come una trottola, ossia è come se fosse leggermente sbilanciato così che a sua volta compie una rotazione su se stesso assumendo direzioni diverse via via che gira, e disegnando un ipotetico cono di apertura 23,5° (Fig. 12 ).
Questo fenomeno si chiama “Precessione degli Equinozi” perché insieme al cambio di direzione dei poli terrestri, varia anche l’inclinazione del piano equatoriale, ad essi sempre perpendicolare; tutto questo va modificare la posizione dei cosiddetti “Punti Equinoziali” che sono i due punti in cui l’equatore celeste – proiezione dell’equatore terrestre sulla volta celeste – interseca l’eclittica, che è l’orbita su cui la Terra ruota attorno al Sole. In particolare i due equinozi indietreggiano e vengono raggiunti 20 minuti prima ogni anno; per questo al fenomeno è stato dato il nome di Precessione degli Equinozi. |
fig.12 |
fig.13 |
Descrivendo un cono, il risultato della rotazione dell’asse terrestre è quello di puntare in zone differenti di cielo. In pratica, se oggi prolungando l’asse terrestre dalla parte del polo nord fino al cielo, accade che incontri Alpha Ursae Minoris, battezzata per la circostanza Stella Polare, un giorno incontrerà invece Alpha Lyrae, ossia Vega, che sarà così la nuova stella polare (Fig. 13 ).
Oltre che più luminoso il nuovo astro del Nord sarà anche decisamente più vicino dato che quello attuale dista 430 anni luce, contro i 25 di Vega.
Come la maggioranza dei movimenti astronomici, tutto questo avviene su tempi molto lunghi. Si parla infatti di circa 26.000 anni affinché l’asse di rotazione terrestre compia un giro completo su se stesso.
Vega fu la nostra stella polare nel 12.000 a.C. e tornerà ad esserlo nel 14.000 d.C. quando saranno trascorsi appunto 26.000 anni (Fig. 14 ). Per noi quindi, nessuna perdita di riferimento!
E’ bene infine precisare una cosa: il fatto che il prolungamento dell’asse terrestre incontri una stella è del tutto casuale. Avrebbe potuto benissimo terminare in un punto vuoto della volta celeste. Il Polo Sud infatti non ha nessuna stella polare.
Abbiamo elencato le prime quattro stelle più luminose del cielo ma è bene ricordar che ci stiamo riferendo alla loro luminosità apparente, cioè allo splendore con cui ci appaiono per via della distanza a cui si trovano. Una stella infatti può apparire più splendente di un’altra solo perché ci è più vicina ma, annullando il fattore distanza, si potrebbe scoprire che in realtà è più debole. |
fig.14 |
Le grandezze che esprimono lo splendore di una stella sono la magnitudine e la luminosità, le quali si dicono “apparenti” se esprimono la brillantezza della stella come la percepiamo in virtù della distanza, e “assolute” se indicano la sua brillantezza vera, ossia quanto è “potente” la stella per sua natura. Una stella inoltre è tanto più luminosa quanto più piccolo è il valore della sua magnitudine.
Vega ha una magnitudine apparente pari a 0,03, mentre quella assoluta è 0,58. Traducendo i valori in termini di luminosità, si ha che apparentemente Vega è circa una volta e mezzo più luminosa di quanto non lo sia in realtà. Ma al di là di come ci appare, chi è Vega? E’ una stella giovane, vecchia, calda, fredda, più grande o più piccola del Sole? Ogni stella che l’uomo ha studiato ha ricevuto da questi una vera e propria carta d’identità. Essa è stata cioè classificata adottando un codice dal quale, conoscendolo, è possibile estrarre le informazioni principali che descrivono la natura della stella. Ebbene, il codice che identifica Vega è A0V, che si legge così: la lettera A rappresenta il cosiddetto “tipo spettrale” cui appartiene la stella; fondamentalmente si tratta di un’indicazione degli elementi chimici presenti nella sua atmosfera, ma soprattutto della temperatura di quest’ultima. Le stelle di tipo spettrale A hanno temperature che vanno da 10.000 °K a 7.500 °K circa. Ogni classe spettrale è stata poi suddivisa in 10 sottoclassi, numerate da 0 a 9, per centrare meglio il valore della temperatura; 0 è il valore massimo e 9 quello minimo. Vega, essendo una stella A0, ha indicativamente una temperatura superficiale attorno agli 10.000 °K, e le misurazioni confermano la previsione dando una temperatura di circa 9.600 °K. In astronomia, la temperatura di una stella è anche indice del suo colore. Le stelle di tipo A come Vega sono stelle bianco-azzurre. Il numero romano V invece indica la cosiddetta “classe di luminosità”, la quale esprime lo stadio evolutivo della stella, ossia ci dice a che punto è della sua vita. Le stelle di classe V sono le Nane, cioè stelle in fase per così dire “adulta”, non nate da poco e neppure vecchie. Il Sole per esempio, che si trova a metà della sua vita, è anch’esso di classe V.
Le stime danno un’età per Vega attorno ai 400 milioni di anni, mentre il Sole ne ha ben 5 miliardi. Il motivo per cui entrambe si trovano nello stesso stadio evolutivo nonostante l’enorme differenza di età, sta nel fatto che Vega invecchia molto più velocemente del Sole a causa della sua massa che è il doppio di quella del nostro astro. Più grande è la massa di una stella infatti, più breve è la sua vita. Rispetto al nostro astro, l’Alpha Lyrae è anche molto più luminosa, di ben 37 volte, ed è anche più grande, avendo un raggio circa 2,5 volte maggiore. Ciò che però accomuna Vega con la nostra stella abbiamo visto essere la classe di luminosità: entrambe sono stelle Nane e per questo entrambe moriranno trasformandosi nello stesso tipo di stella: un giorno saranno due Nane Bianche. Vega tuttavia lo diventerà molto prima del Sole. Più una stella è massiccia e più velocemente consuma il suo combustibile di idrogeno che la fa risplendere. Così mentre al Sole rimangono altri 5 miliardi di anni prima di entrare nella “terza età”, a Vega ne rimangono solo 600 milioni, che equivale a dire che la sua durata di vita è un decimo rispetto a quella del Sole. |
Oggetti famosi nelle costellazioni di Luglio
Nella Lira: M57
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La costellazione della Lira custodisce nei suoi bui recessi una stella che ci svela come diventerà il nostro Sole fra 5 miliardi di anni, quando avrà esaurito il combustibile di idrogeno che lo tiene in vita. Per raggiungerla, bisogna addentrarsi nelle profondità cosmiche per 2.300 anni luce, fra le stelle Beta e Gamma Lyrae (Fig. 15). Lì vi è una stella azzurra ridotta alle dimensioni del nostro pianeta ma con una densità eccezionale, 1 tonnellata al centimetro cubo, che emette i suoi ultimi palpiti di vita al centro di un suggestivo disco fasciato di colori.
E’ M57 (Fig. 16), il cinquantasettesimo oggetto non puntiforme scoperto e catalogato dall’astronomo francese Charles Messier nel lontano 1779, solo qualche giorno dopo Antoine Darquier de Pellepoix, colui che per primo lo vide. Al tempo in realtà la stellina centrale non si poteva vedere perché i telescopi non erano ancora sufficientemente potenti; la sua esistenza fu ipotizzata quasi un secolo più tardi nel 1864, per essere finalmente fotografata nel 1886 confermando così il modello teorico proposto. Ma in origine, nel XVIII secolo, M57 apparve agli occhi del francese de Pellepoix come… ”una nebulosa debole, ma dalla geometria perfetta; grande quanto Giove, pare simile a un pianeta evanescente”.
Nel 1785, un altro scienziato entrato nella storia dell’astronomia, William Herschel, accostato l’occhio al telescopio, definì M57… “una nebulosa perforata, o un anello di stelle”. Quattro anni prima aveva scoperto Urano e la visione dell’oggetto di Messier gli ricordò prepotentemente quel pianeta, tanto che battezzò i pallidi cerchietti che apparivano nell’oculare col nome di “Nebulose Planetarie”. Per tradizione ancora oggi si chiamano così, anche se le osservazioni successive hanno dimostrato che non hanno nulla a che fare con i pianeti. Le Nebulose Planetarie scoperte finora ammontano a circa un migliaio. M57 non è altro che ciò che rimane di una stella che una volta era come il Sole e che ora sta vivendo il suo penultimo stadio evolutivo; una stagione che la porta a dissolvere nello spazio la sua atmosfera, non avendo più energia sufficiente per tenerla legata a sé. |
Un finale di questo genere accade alle stelle di piccola o media massa – quelle che nascono molto massicce (più di 8 volte la massa del Sole) anziché tramutarsi in nebulose planetarie, esplodono violentissimamente divenendo Supernovae. Stelle invece come il Sole vanno incontro alla morte più dolcemente, anche se il decorso della loro ultima evoluzione non è del tutto privo di eventi traumatici.
Bisogna sapere che ogni stella vive la maggior parte della sua vita bruciando l’idrogeno, il primo elemento della tavola periodica, nonché quello più leggero e principale componente del gas che forma l’astro. Solo negli strati superficiali, cioè nell’atmosfera, vi sono anche altri elementi (ossigeno, magnesio, azoto, silicio, calcio, …) ma comunque sempre in percentuale molto piccola rispetto all’idrogeno. La combustione di quest’ultimo comporta la trasformazione dello stesso nell’elemento chimico immediatamente successivo per numero atomico, ossia l’elio, e inizia nel nucleo della stella ampliandosi man mano nei suoi strati più esterni. Vale a dire che il nucleo si trasforma in una palla di elio per primo, dopodiché toccherà al guscio di idrogeno che lo avvolge e via dicendo.
In particolare è importante sapere che quando il nucleo è divenuto interamente di elio, la stella attraversa una fase di instabilità perché viene a mancare l’equilibrio tra la forza di gravità e la cosiddetta pressione di radiazione. Il nucleo della stella inizia così a collassare su se stesso, vinto dal proprio campo gravitazionale; compattandosi sempre più diverrà sempre più caldo, fino a quando non raggiungerà una temperatura tale da contrastare la gravità attraverso l’emissione di radiazione luminosa. I fotoni infatti esercitano una pressione verso l’esterno – la pressione di radiazione – e una volta che questa raggiunge un’intensità uguale a quella del campo gravitazionale, ristabilisce l’equilibrio della stella.Con questo nuovo cuore che lo tiene acceso, l’astro ha assunto l’identità di Gigante Rossa. Mentre infatti si ricreava l’equilibrio negli strati più interni, quelli più esterni – rimasti di idrogeno – si sono allontanati, proprio perché è venuta a mancare la forza di gravità necessaria a mantenerli legati al centro. La stella si è perciò ingigantita, mentre cromaticamente si è arrossata, in quanto i gusci più superficiali, allontanandosi e quindi rarefacendosi, si sono raffreddati a temperature corrispondenti a radiazioni di luce rossa. |
 fig.16 |
Fra 5 miliardi di anni il nostro Sole diverrà una Gigante Rossa e si estenderà fino all’orbita di Marte, vaporizzandolo insieme a Venere, a Mercurio e… per forza di cose alla Terra.
Sottoforma di Gigante Rossa, la nostra stella resterà per circa 1 miliardo di anni; tipicamente questa fase può durare dal 5% al 20% di quella precedente che rappresenta la maggior parte della sua vita. Il motivo è che la combustione dell’elio, che è più pesante dell’idrogeno, richiede più energia la quale viene consumata più velocemente. Terminato lo stadio evolutivo di Gigante Rossa, la stella si avvia a divenire una Nana Bianca ed è proprio durante questa trasformazione che si origina la Nebulosa Planetaria. Come dice il nome, stavolta la stella inverte la tendenza e si mostra molto molto piccola perché il nucleo, che ha bruciato tutto il suo elio trasformandolo in un elemento ancora più pesante che è il carbonio, è di nuovo sottoposto all’azione del proprio campo gravitazionale che lo costringe a collassare su sé stesso. La contrazione è piuttosto violenta e rapida, la temperatura sale bruscamente e il calore sviluppato può scagliare con impeto nello spazio i gusci gassosi esterni. Ecco allora originarsi il famoso anello che caratterizza la Nebulosa Planetaria. La stella invece si è ridotta a un sole delle dimensioni della Terra. Nel caso di M57, la nana bianca al centro dell’anello ha una massa circa 1,2 volte quella del Sole; perciò considerato il piccolissimo volume in cui è concentrata, ha una densità pazzesca: come accennavamo, ogni centimetro cubo del suo gas fatto di carbonio e ossigeno pesa 1 tonnellata. E’ come se dovessimo usare una gru per sollevare un dado da gioco! All’aumentare della densità poi aumenta la temperatura, ed è quindi facile immaginarsi che anch’essa avrà un valore abnorme. Per M57 si parla di una stella centrale che brilla a circa 100.000 °K, una temperatura eccezionale per un astro; solitamente le stelle più calde si aggirano sui 50.000 °K.
Le nane bianche sono estremamente calde e i raggi luminosi sprigionati a una gradazione di questa entità sono di colore blu. Alla nostra distanza però la stellina centrale ci appare molto fioca con le sue 15,75 magnitudini apparenti, ma in realtà il suo splendore intrinseco è di circa 6,5 magnitudini assolute. Si tratta in pratica di un sole 5 volte più splendente del nostro.
Passando all’osservazione dell’anello colorato invece, occorre subito dire che in realtà non si tratta di un anello bensì di una sfera. Si è detto che esso è formato dai gusci superficiali della stella originaria che sono stati espulsi durante il suo rimpicciolimento da Gigante Rossa a Nana Bianca. E proprio di gusci, quindi di involucri tridimensionali, si tratta, soltanto che noi ne vediamo esclusivamente il bordo poichè il resto emette radiazione ultravioletta, invisibile all’occhio umano. Si può vedere la Nebulosa Planetaria nella sua totalità anche nell’infrarosso come testimonia una superba immagine di M57 (Fig. 17). |
fig.17 |
L’anello è composto da gas che la stella ha ionizzato nel momento in cui è esplosa e lo ha scagliato nello spazio recidendo così per sempre una parte di sé. I diversi colori sono dovuti alla presenza di elementi differenti, a differenti livelli di ionizzazione (Fig. 16): l’anello verde per esempio è costituito da ossigeno e azoto ionizzati due volte (OII, NII), mentre quello rosso contiene idrogeno ionizzato una volta solo (HI). Alla nostra distanza, l’anello ha 9 magnitudini apparenti, ma in realtà la sua magnitudine assoluta è di -0,2; si tratta dunque di una ciambella molto luminosa, che però a causa della grande profondità spaziale a cui si trova, viene smorzata di ben 5.000 volte. Sotto la spinta del vento stellare proveniente dalla Nana Bianca, l’anello è in continua espansione e si allarga alla velocità di 20-30 km/s. Avendo adesso un diametro di circa 2,4 anni luce, si deduce che l’età di M57 è compresa fra i 6.000 e gli 8.000 anni, tempo trascorso anche dall’esplosione della stella. Il destino dell’anello è quello di assottigliarsi sempre più fino a far perdere ogni traccia di sé. Tipicamente occorrono 100.000 anni prima che ciò accada. A quel punto, la Nana Bianca resterà sola e se ne può vedere un’anteprima nella costellazione del Cane Maggiore osservando Sirio B, la stella compagna di Sirio. Essa è una Nana Bianca il cui anello si è già dissolto completamente nello spazio. In questa solitudine le Nane Bianche vivranno per diversi miliardi di anni; si raffredderanno lentamente e raffreddandosi splenderanno sempre di meno fino a che raggiungeranno l’ultimo stadio della loro evoluzione che è quello di Nane Nere. Si chiamano così proprio perché noi non possiamo più vederle essendo piccole e freddissime. Sotto questa identità, le stelle vivranno più di quanto sono vissute fino a quel momento, miliardi e miliardi di anni. Ma saranno ormai solo mozziconi spenti destinati all’oblio dell’infinità. |
Nell Sagittario: Sagittarius A
Era il 1931 quando un giovane ingegnere americano di nome Karl Jansky che lavorava per la Bell Telephone Laboratories, e che stava studiando il modo per eliminare dei rumori di fondo e delle interferenze che disturbavano le trasmissioni, si accorse della presenza di un segnale costante, molto debole ma continuo. Concentrò i suoi sforzi nell’identificazione di quel basso rumore ed il risultato fu che non proveniva da nessuna delle sorgenti conosciute. Di più: dopo un paio d’anni passati a registrare le sue osservazioni, localizzò quel segnale nella costellazione del Sagittario.
Dal punto di vista astronomico, gli scienziati in quegli anni sapevano già che il Sole si trova in un punto periferico della Galassia e che il centro di quest’ultima è in direzione della costellazione del Sagittario. Da qui la conclusione che quel segnale radio scoperto da Jansky proveniva direttamente dal centro della Galassia!
Era nata così quella branca dell’Astronomia chiamata Radioastronomia, la quale si occupa dello studio delle onde radio provenienti dallo spazio.
Bisogna sapere che le immagini delle stelle, delle galassie, delle nebulose e di tutto quanto vediamo, sono formate dalla luce cosiddetta visibile, cioè come ben dice il termine, quella che i nostri occhi possono vedere. In verità, esiste anche della luce non visibile; per questo onde evitare confusione, si parla spesso di radiazione (elettromagnetica). Esiste quindi della radiazione visibile per i nostri occhi – la luce appunto – e della radiazione non visibile: sono i raggi gamma, i raggi X, i raggi ultravioletti, quelli infrarossi, le microonde e le radioonde.
Ciò che fa la differenza fra tutti questi tipi di radiazione è la lunghezza d’onda, cioè la distanza che c’è fra un picco e il successivo in un’onda, quest’ultima essendo la rappresentazione della radiazione. La lunghezza d’onda in particolare, aumenta passando dai raggi gamma alle onde radio, con una differenza mostruosa di valori: passa da quelli dell’ordine di centomillesimi di nanometri dei raggi gamma a quelli dell’ordine di chilometri delle onde radio!
Come si può vedere in Fig. 18 , inoltre, le onde visibili sono solo una minima parte di tutte quelle esistenti. Per “vedere” le altre onde, è necessario costruire degli strumenti appositi, che riescano a rilevare il loro passaggio e a formare un’immagine per questi tipi di emissione.
Una scoperta molto importante circa lo spettro elettromagnetico, che è l’insieme di tutte le radiazioni, riguarda la nostra atmosfera. Essa infatti assorbe totalmente o parzialmente molte di queste onde, ma possiede anche due cosiddette “finestre” che lasciano passare due dei sette tipi di
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fig.18 |
fig.19 |
radiazione: una finestra è quella per la luce visibile e l’altra è per le onde radio.
Perché è importante questa scoperta? Molto semplice: i corpi celesti che emettono nel visibile e nel radio, sono osservabili da Terra, mentre quelli che emettono le altre radiazioni, sono osservabili solo uscendo dall’atmosfera terrestre o da quegli strati responsabili dell’assorbimento delle altre radiazioni. Ecco allora che “per aria” galleggiano diversi oggetti: palloni sonda e razzi, fino ai satelliti che ruotano intorno alla Terra (Fig. 19 ).
I corpi celesti che emettono onde radio sono dunque per noi oggetti privilegiati, dal momento che possiamo osservarli e studiarli da terra.
Inoltre, la radiazione radio ha la fortuna di non venire assorbita dalla polvere interstellare, responsabile dell’estinzione della luce visibile. Soprattutto, essendo la polvere concentrata nel piano galattico ed attenuando di ben alcune centinaia di magnitudini la radiazione ottica che l’attraversa, ci impedisce di vedere cosa c’è nelle regioni centrali della galassia. Il centro della galassia diventa così osservabile alle lunghezze d’onda radio.
Come accade per le stelle, i pianeti, le galassie o le nebulose, anche i corpi celesti che emettono nel radio vengono osservati con un telescopio, chiamato “radiotelescopio”. E’ uno strumento molto diverso dal telescopio ottico, dovendo catturare non delle onde di luce ma delle onde radio. Si tratta infatti di una parabola che raccoglie i raggi |
radio e li fa convergere al suo centro, dove è posizionato un ricevitore. Vi è poi un convertitore per trasformare in immagine il segnale raccolto nel ricevitore.
In Fig. 20 , si può vedere come appare il centro della nostra galassia alle lunghezze d’onda radio (in questo caso ad una lunghezza d’onda di 20 cm). Possiamo altresì vedere un esempio di immagine radio, che più che altro è paragonabile ad una sorta di mappa, dove l’intensità della radiazione viene indicata con colori più accesi man mano che si acutizza. Attenzione dunque a non confondere l’immagine con una foto: questi sono falsi colori, scelti dagli scienziati in modo convenzionale.
Cosa sono dunque questi corpi celesti che emettono nel radio? La risposta non è unica, nel senso che a parte poche eccezioni, tutti gli oggetti dell’universo emettono più di un tipo di radiazione. Quello che fa la differenza è la prevalenza dell’emissione di una radiazione sulle altre. Possiamo così avere per esempio, corpi celesti che emettono intensamente nell’X, altri nell’infrarosso, altri ancora nel radio.
I corpi celesti che emettono fortemente nel radio sono chiamati genericamente radiosorgenti, perché nello specifico può trattarsi di galassie, di supernovae, di quasar e così via.
La radiosorgente Sagittarius A ha a che fare con molta probabilità con il gigantesco buco nero che si trova al centro della galassia e della quale ne costituisce una sorta di motore; tutte le stelle della galassia infatti ruotano attorno ad esso: le stelle che costituiscono il nucleo, quelle dell’alone centrale (bulge) e quelle lungo i bracci a spirale (Fig. 21 ).
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fig.20 |
fig.21 |
Generalmente un buco nero è l’ultimo stadio evolutivo di una stella che alla nascita aveva una massa molto grande, più di 8 volte la massa del Sole. Stelle di questo tipo hanno una vita breve (alcune decine o poche centinaia di milioni di anni) ed un finale “con botto”: diventano Supernovae, ossia stelle che esplodono, stelle il cui nucleo si è contratto alle dimensioni di poche decine di chilometri, ma la cui
densità è spaventosamente alta. Si pensi che in una dozzina di chilometri viene compressa l’intera massa del nostro Sole! La gravità cui la stella è sottoposta è elevatissima ed il nucleo viene talmente compresso che a un certo punto, la stella esplode facendo schizzare nello spazio a velocità relativistiche gli involucri esterni rimasti, i quali vengono chiamati appunto Resti di Supernova.
L’esplosione fa brillare per l’ultima volta la stella, la quale prima di spegnersi per sempre, ci regala uno spettacolo davvero straordinario: si illumina quanto un’intera galassia! Nel suo ultimo respiro di luce sarà visibile solo per pochi giorni, dopo di che quell’angolo di cielo si sarà privato di un suo puntino luminoso.
Quella stella è diventata un buco nero, cioè un punto di raggio zero e densità infinita, il cui campo gravitazionale è così forte che nulla può più sfuggirvi, nemmeno la luce. Da qui il nome di buco nero.
Al centro della galassia, distante 30.000 anni luce, si trova un buco nero, ma rispetto ai buchi neri conseguenti all’esplosione di una Supernova, è molto ma molto più potente. Che tipo di buco nero è quindi quello che sta al centro della galassia? E che cosa ha a che fare con Sagittarius A?
Alla prima domanda non c’è ancora una risposta univoca, più ipotesi sono tenute in considerazione che vanno oltre gli scopi della presente trattazione. Possiamo invece occuparci della seconda domanda dicendo che la risposta sta nel ruolo che gioca la radiosorgente Sagittarius A in questo contesto. Essa infatti funge da “rivelatore del buco nero”. Se un buco nero non può essere visto in termini di luce, può essere però messo in evidenza in base ai fenomeni che provoca nell’ambiente circostante. Si è così scoperto che il gigantesco buco nero al centro della Via Lattea è circondato da un cosiddetto “disco di accrescimento”, ossia da un anello di gas e polveri a milioni di gradi di temperatura. Questo materiale in particolare si trova su quello che è chiamato “orizzonte degli eventi”, che sarebbe il limite oltre il quale nulla può sfuggire al buco nero. Generalmente il raggio d’azione di quest’ultimo è di poche decine di anni luce. |
Ebbene, le osservazioni radio hanno rivelato che l’intensa e piccola radiosorgente Sagittarius A sarebbe proprio il disco di accrescimento che circonda il buco nero. La sua massa risulta essere quasi 4 milioni di volte quella del Sole ed è racchiusa in un volume di appena 6,25 ore luce! Per avere un’idea di cosa stiamo parlando, basti pensare che il nostro Sistema Solare misura 5,84 ore luce. Una dimensione così piccola unita alla grande distanza che ci separa dal centro della galassia è il motivo per cui Sagittarius A ci appare puntiforme, anziché anulare.
Un’immagine ottenuta dal telescopio a raggi X chiamato Chandra, in orbita attorno alla Terra, mostra la radiosorgente Sagittarius A (Fig. 22 ). Come si può osservare, la radiosorgente è identificata come Sagittarius A* (asterisco). Ad essere precisi infatti, si è visto che la radiosorgente Sagittarius A consiste di tre componenti (Fig. 23 ): Sagittarius A*, che è quella che viene comunemente identificata con il buco nero al centro della galassia (ma, lo ricordiamo, non è il buco nero che vediamo bensì il suo disco di accrescimento); Sagittarius A Est, che è il Resto di una Supernova esplosa da 10.000 a 100.000 anni fa e le cui dimensioni sono estremamente estese, circa 25 anni luce. Un Resto di Supernova di dimensioni così elevate è possibile solo ammettendo un’esplosione di Supernova 50-100 volte più potente di una standard. Si pensa allora che Sgr A Est sia ciò che rimane di una stella che è stata compressa gravitazionalmente dal buco nero centrale in seguito ad un suo avvicinamento ad esso.
Sagittarius A Ovest, un gruppo di filamenti di gas a forma di spirale che starebbero cadendo dentro Sagittarius A* ad una velocità di circa 1000 km/s.
Ilaria Sganzerla |
fig.22 |
fig.23 |
Immagini:
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F igure 1,2,3,4,7,11: SW Cartes du Ciel
- Fig. 5: http://www.noao.edu/outreach/aop/observers/m57largeblock.jpg
- Fig. 6: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/7/73/Messier_56_Hubble_WikiSky.jpg
- Figura 8: An Atlas of The Universe - www.atlasoftheuniverse.com
- Figura 9 : http://en.wikipedia.org/wiki/Electromagnetic_spectrum
- Figura 10: La Biblioteca di Repubblica, Collana “La Scienza”, 1. L’Universo, 2005
- Figura. 18: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/1/13/M57_The_Ring_Nebula.jpg
- Figura. 19: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/35/M57RingNebula.jpg
- Figura 20: http://archive.ncsa.uiuc.edu/Cyberia/Bima/Images/GalCntrC_lg.jpg
- Figura 21: Mario Rigutti, Astronomia, Ed. Giunti, 1993
- Figura 22: http://chandra.harvard.edu/photo/2003/0203long/0203long_xray_jet_label.jpg
- Figura 23: http://chandra.harvard.edu/photo/2003/0203long/0203long_three_label.jpg
Fonti:
- Isaac Asimov, Il Libro di Fisica, Ed. Mondadori, 1999
- Isaac Asimov, Supernovae, Ed. BUR, 1998
- La Biblioteca di Repubblica, Collana “La Scienza”, 1. L’Universo, 2005
- Le Scienze quaderni numero 71, Quasar e buchi neri, Ed. Le Scienze, 1993
- Mario Cavedon, Astronomia, Ed. Mondadori, 1992
- Mario Rigutti, Astronomia, Ed. Giunti, 1993
- Hubert Reeves, L’Evoluzione Cosmica, Ed. BUR, 1996
- Ian Ridpath, The Pocket Guide To Astronomy, 1990
Internet:
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Wikipedia - http://en.wikipedia.org/wiki/Sagittarius_(constellation)
- Wikipedia - http://en.wikipedia.org/wiki/Sagittarius_A
- Wikipedia - http://en.wikipedia.org/wiki/Sagittarius_A*
- Wikipedia - http://en.wikipedia.org/wiki/Supermassive_black_hole
- Wikipedia - http://en.wikipedia.org/wiki/Galactic_center
- Wikipedia - http://en.wikipedia.org/wiki/Lyra
- Wikipedia - http://en.wikipedia.org/wiki/Messier_56
- Wikipedia - http://en.wikipedia.org/wiki/Messier_57
- Wikipedia - http://en.wikipedia.org/wiki/Vega
- SEDS - seds.org/messier/g-group
- http://archive.ncsa.uiuc.edu/Cyberia
- http://chandra.harvard.edu
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